lunedì 31 marzo 2014

Tregua, Pace e Perdono.

"Si ferisce l'amor proprio; non lo si uccide"
Henri de Montherlant
 
[Quanto tempo è necessario talvolta perché si possano capire, e ancor di più apprezzare certe cose.
Soprattutto se si tratta di parti di noi.
E' sorprendente come la vita, gli incontri della vita possano mettere in conflitto con alcune sfaccettature, facendole passare ai propri occhi come ai loro: difetti, problemi, sconvenienze.
Passano gli anni e ci si dimentica come ci si sentiva affini ai personaggi di un libro o di un film. E, quando si ritorna su quelle pagine o su quelle immagini, ci si sente diversamente affini, cospargendosi addosso un fango benefico, un fango che è la vivida ri-sensazione di quella somiglianza ormai lontana, che viviamo con un sorriso tenero come quello che si porge ad una persona innocentemente inesperta, quando in essa rivediamo quegli errori, quelle buffe goffaggini, quei tentativi appassionati che sono appartenuti anche a noi.]

"Chiamatemi Batiuska!", ricordi quei giorni? L'odore di quelle pagine è inconfondibile, non è fuggito mentre passavano gli anni ed il piccolo volume restava prigioniero verticale insieme agli altri, nella libreria.
Torna fra le tue mani quando meno te l'aspetti, e quando più ne hai bisogno. In quattro tratte in treno lo divori di nuovo come mai letto, ed ecco quella sensazione di fervore e di calore. Sorridi. "Quanto pensavo di somigliare a lui" pensi. Quante dormite inoltrate in là nelle ore -e quanto sonno accumulato su giovini spalle- per finire una notte, un paragrafo, un capitolo! Ogni scusa era buona. "Arrivare al primo punto e a capo!". Ma poi il primo punto e a capo lasciava troppo in sospeso, e cercavi quello successivo, o decidevi di fermarti ad un numero di pagina a te particolarmente piacevole.
Alla fine, era solo l'incombere irresistibile del sonno a farti smettere, a spegnere il lume della candela.
"Quante notti bianche, meravigliose notti bianche" erano quelle che conoscevi solo tu, che vivevi solo tu, con la tua intensità, con tutto a tua discrezione, privatamente.

Poi il sensibile sognatore divenne un problema, un peso o, peggio di tutte, un imbarazzo.
Subentrò il viscerale eros, ma, finita l'attrazione e il giro in giostra, rimanevi solo lo stesso. Il gioco è bello se dura poco. Peccato che non era un gioco.
La poesia, carta troppo delicata perché qualcuno si prendesse la briga di prenderla fra le mani più qualche secondo. La musica, troppo intima perché ci si disponesse in modo accogliente: era meglio tenerla fuori campo.

Tanto tempo per amare tutto questo. Tanto tempo e diversi anni per farne qualcosa di tuo. Tanto tempo per non rigettarlo come un contrappasso in agguato, e per farne propria risorsa dell'anima, soprattutto per se stessi. Tanto tempo speso ad accettare di non dover per forza aspergerlo come un esubero ingestibile. Tanto tempo occupato a sentirsi diversi, soli... maladatti.

Poi un giorno riapri il libro, risuoni quella musica, rileggi quella poesia, rievochi quel ricordo. E tutto è tuo. Inderubabile, irrovinabile. Dopo tanti passi. Fra mille cosa utili, necessarie e di scorta, nel tuo zaino.
Sì, sei stato probabilmente un po' illuso, ingenuo ed inconsapevole. Ma eri sincero.
Puoi amare quella creatura. Puoi amarla anche se oggi ha un poco di barba rossa in più.


Andrew

domenica 23 febbraio 2014

I due lupi

Tutto il male che mi puoi e mi potrai fare non farà che aumentare il mio legame già per natura profondo con te.
L'unica cosa che non riesco a tenere nella mente più di qualche secondo, è il pensiero di perderti. Io vengo da te direttamente, sono il tuo ultimo grande sforzo, in fondo. E cosa mi rimarrebbe di essere, senza te? Il mio cuore nasce dal tuo, così come il suo battito.
Più cerco di non somigliarti, più capisco che sono nato da te. Ciononostante restano alcune cose della tua personalità che non vorrei fare mie, pur mantenendo rispetto per ciò che sei, perché so che è il massimo che tu abbia potuto di te per sentirti una persona degna.
Sono così fiero di te, anche quando mi graffi in profondità e non te ne rendi conto. Spero tu lo sia di me, anche se forse non rispecchio propriamente il modello di uomo che avresti desiderato vedere uscire da me.
Perché la cosa più paradossale, assurda, ma anche dolce, è vedere come, una volta scontrati e feriti per l'ennesima volta, ci riavviciniamo per farci calore, come due animali zoppicanti, lenti e compassionevoli, che si abbracciano per leccarsi le reciproche ferite, quasi ignari che sono stati loro stessi a causarsele. Quasi dimenticando quante altre se ne fossero già fatte.

Andrew

Riflessioni su di un aforisma Baudelairiano

"Foutre, c'est aspirer à entrer dans un autre, et l'artiste ne sort jamais de lui-même."
["Fottere, è aspirare di entrare in un altro, e l'artista non esce mai da se stesso."]
Charles Baudelaire, “Journaux intimes”

La frase di Baudelaire non è intenta a descrivere il rapporto sessual-emotivo fra due persone, ma dall'ambito sessuale delinea il modo in cui l'artista approccia alla vita, al mondo e alla realtà. Il sesso richiede, di per sé, molta "fusione" con l'altro: ma per l'artista è sempre un avvicinarsi, non un fondersi, perchè -come dice Baudelaire stesso, peraltro- egli "non esce mai da se stesso", non si tradisce mai, non si lascia contaminare né rubare il suo "sangue" dall'altro, ma soltanto -eventualmente- dall'Arte. 
L'artista è un essere egocentrico ed esigente per antonomasia, desidera sapere tutto ma non dare né dire nulla di sé, avere tutto ma non concedere nulla di suo se non la sua arte (perché essa venga ammirata, celebrata, diffusa); sapere di possedere ma non voler essere posseduto completamente. E comunque, Baudelaire usa non a caso il termine "fottere", come simbolo del puro e semplice, mero atto del sesso: la penetrazione. Come invasione dell'altro, sconvolgimento del relativo io e della persona senza, però, tradire il proprio io di artista, senza compromessi di nessun genere. 
Avere, non condividere. L'artista ha bisogno di emozioni forti che alimentino i contrasti emotivi intrinsechi ed intimamente intrecciati con la sua vita, i picchi di "up" e di "down" che lo fanno sentire mobile e precario, fragile e verace, vulnerabile, ricettivo, passionale e quindi vivo. Il tormento domina la sua esistenza, non l'amore, non la condivisione dei piaceri o delle emozioni. Ovviamente, questo, non gli impedisce di provare sentimenti anche viscerali e fortissimi per qualcuno, di renderlo sua musa ispiratrice e suo dedicatario dell'arte, suo sostegno e suo orgoglio, persona alla quale aprire le porte del suo regno e del suo castello da egli stesso interamente creato ed arredato.
E' crudele, ma è così: amare un artista significa amare anche ciò che egli fa, mentre quest’ultimo potrà anche amarti molto o possederti, e di ciò che fai -nel caso in cui non fosse arte- invece infischiarsene, in quanto ciò non lo tange direttamente, non lo [s]muove... non gli serve.

A.